Una
dieta può salvare il mondo? Se così fosse, si tratterebbe
senz’altro di quella vegana; d’altronde una cosa è
certa: se c’è una scelta alimentare che sta condannando
il Pianeta, è quella carnivora/onnivora. 1. Rispetto
dell’ambiente e del Pianeta
Prima di chiedersi per quale motivo la dieta vegana possa salvare il
mondo occorre comprendere perché – viceversa – nutrirsi
di carne lo sta distruggendo, affermazione che ai più sembra
tanto esagerata e insensata da apparire come una sciocchezza propagandista;
così (purtroppo) non è. Circa metà delle immissioni di gas serra nell’atmosfera deriva, non dai trasporti e nemmeno dai riscaldamenti domestici, bensì… dagli allevamenti di animali! Queste informazioni non sono fornite da animalisti oltranzisti o da leggende metropolitane: si tratta di studi condotti da organizzazioni internazionali quali la FAO(1) e il World Watch Institute(2), pubblicate in Italia anche nel rapporto LAV 2012 intitolato “I costi reali del ciclo di produzione della carne”(3). Tutti noi siamo affannosamente in cerca di metodi per risparmiare energia, non disperdere il calore delle abitazioni, spegnere perfino i led dei televisori, costruire auto elettriche o che consumino meno carburante, mentre consumando una sola bistecca: la produzione di 1 kg di manzo, infatti, provoca emissioni di CO2 superiori a quelle causate dal guidare per tre ore un’auto di media cilindrata lasciando tutte le luci di casa accese(4). Che il consumo
di carne sia impossibile – e non soltanto pericoloso – rispetto
all’esistenza del Pianeta lo dice la matematica: se l’intera
popolazione mondiale esistente oggi, nel 2012, consumasse carne come
gli occidentali, non sarebbero sufficienti tutte le terre emerse del
globo per sfamarla, ma occorrerebbero dai 2 ai 3 pianeti Terra(5):
è evidente che con una popolazione in crescita quale quella umana
contemporanea non occorrerà che tutti decidano di consumare carne
per giungere a quel punto, essendo sufficiente attendere l’incremento
demografico dei prossimi decenni. Quelli che, poi, sostengono il “biologico”
come metodo per attenuare le crudeltà sugli animali e lo sfruttamento
dell’ambiente, non hanno fatto bene i conti: se ciascun abitante
del pianeta si nutrisse di carne biologica, pur usando il 100% delle
terre emerse (quindi eliminando tutti gli agglomerati urbani oltre alle
coltivazioni, il che sarebbe impossibile, anche perché non si
potrebbe neppure coltivare lo stesso mangime destinato ad alimentare
gli animali) e usando soltanto polli (gli animali che occupano meno
spazio fra quelli destinati all’alimentazione umana), a ciascuno
di noi spetterebbero soltanto pochi grammi all’anno! 2.
Rispetto per se stessi e per la salute
Una delle giustificazioni più adoperate a favore dell’uso
alimentare degli animali è quella che ne afferma la necessità,
la non derogabilità per motivi di salute e sopravvivenza: ciò
è paradossale, se soltanto si osa squarciare il velo dei pregiudizi
creati ad arte dall’ignoranza o dall’interesse economico. Sul principio di necessità non c’è molto da dire: vegetariani e vegani esistono, oggi, a milioni e miliardi, sono sempre esistiti, e – sconvolgente rivelazione per la maggior parte delle persone – esistevano prima ancora dei carnivori! Ebbene sì: l’essere umano non è nato onnivoro, né tantomeno carnivoro, bensì essenzialmente frugivoro, quale raccoglitore di frutti e bacche. L’uomo non ha mai posseduto gli strumenti di offesa delle specie carnivore quali tigri o leoni, ma neppure quegli apparati presenti in animali onnivori quali orsi e cani, dei quali non abbiamo infatti né la dentatura, né la possenza mandibolare o muscolare. La congettura che l’uomo sarebbe per natura portato al consumo di carne si scontra con l’evidenza dei fatti: fino allo sviluppo delle prime armi, infatti, per i nostri progenitori era impossibile non soltanto catturare animali, ma anche macellarne le carni e dissezionarne i corpi per nutrirsene. Inoltre quale essere umano sarebbe in grado o amerebbe cibarsi della cruda carne strappata a morsi dalla carcassa di un animale, senza averla cucinata? Non esiste animale in natura che consumi cibi che non è in grado di procacciarsi, salvo – naturalmente – quelli che l’uomo ha addomesticato e che, pure, paradossalmente, ritiene di alimentare secondo la loro natura: quanti, infatti, deprecando la “violenza” dei vegani che intendono alimentare in modo non cruento cani o gatti, non si pongono alcun interrogativo circa la possibilità che – in natura – un gatto si nutra di tonno, anziché un cane di manzo? Quelli che ancora sono afflitti dall’annosa questione: “Come fai a sostituire la carne?”, se non hanno già trovato risposta sopra, dovrebbero prendere atto degli ormai innumerevoli studi sulla pericolosità per la salute umana dei cibi di origine animale, in particolare su quelli (numerosi) già riconosciuti cancerogeni. La risposta alla domanda circa cosa faccia e bene e cosa male all’organismo umano, cosa lo curi e cosa lo faccia ammalare, è alla portata di tutti e non richiede alcuna preparazione scientifica: quante patologie sono connesse con l’uso di cibi di origine animale? Quante con l’uso di quelli vegetali? E, per converso, quante sono curate dagli uni e quante dagli altri? 3.
Rispetto per lo spirito
Moltissimi credono che esista un principio metafisico/ultraterreno che
pervade l’essere umano e/o altre parti della realtà fenomenica:
alcuni riconducono queste convinzioni a specifiche religioni, mentre
altri coltivano una ricerca spirituale pura e priva di preconcetti o
dogmi. Come vedremo meglio nel prossimo paragrafo non occorre fare ricorso ad alcun tipo di realtà metafisica per affermare i diritti degli animali (o dell’ambiente); tuttavia è mia convinzione che i tempi siano maturi per una comprensione globale del fenomeno dell’esistenza e per unificare le molteplici discipline che la studiano, onde trarre l’esatta consapevolezza di chi siamo e del nostro ruolo nell’universo e, di conseguenza, nei rapporti con ciò che è “altro da noi”. Anche le religioni
più datate, tanto quelle occidentali quanto quelle orientali,
contengono riferimenti alla pratica del vegetarismo, alla non violenza
nei confronti degli animali e all’astensione dal provocare loro
sofferenza: perfino la religione cattolica delle origini, prima di passare
dai filtri e dai magli delle revisioni di natura politica dell’età
di Costantino, rifiutava il consumo di cibi animali, basandosi sugli
insegnamenti di Gesù. Ma, al di là delle religioni, è oggi possibile indagare la natura dello spirito e dell’invisibile anche attraverso metodi scientifici, quali la fisica (astrofisica, fisica quantistica, etc.) e la psicoterapia regressiva: che esistano realtà non percettibili ai sensi umani è ormai risaputo da lungo tempo, mentre ogni giorno di più si comprende che tutto ciò che una volta era considerato mito, magia, paranormale, superstizione o religione, rappresenta soltanto quella parte dell’universo che normalmente, pur esistendo, non siamo in grado di cogliere sensorialmente. In questo universo ultrasensibile la maggior parte della materia/energia, suggerisce oggi la fisica, è invisibile: lo “spirito”, pertanto, non rappresenta nulla di trascendentale, ma semplicemente una forma di energia che la tecnologia contemporanea non ci rende ancora in grado di cogliere, al pari di quegli universi paralleli teorizzati da una parte sempre più ampia dei fisici odierni. Il principio spirituale che anima l’uomo non differisce da quello che pervade l’intero universo: che noi ne siamo creatori o creati, infatti, giocoforza i suoi elementi e modi di esistere sono analoghi ai nostri e affermare il contrario sarebbe paradossale come dire che un figlio non ha nulla a che vedere con la propria madre (o viceversa). Va da sé che, essendo tutti partecipi della medesima energia, tutti noi riceviamo un beneficio dal suo accrescimento, dalla sua tutela, mentre tutti noi veniamo danneggiati dalla sua lesione: illudersi che dal male che arrechiamo a qualunque parte dell’esistente possa avvantaggiarci è molto miope e, anzi, probabilmente supera perfino il confine con la cecità più assoluta. 4.
Rispetto per gli animali non umani
Purtroppo la maggior parte degli esseri umani non agisce per finalità
altruistiche, ma basandosi in primo luogo sul proprio interesse (benchè,
come sopra detto, ciò sia illusorio): per questo motivo, nell’esporre
le ragioni del veganismo, ho inteso anteporre le ragioni più
egoistiche.
A questo punto occorre chiarire che la morale impone di astenersi dal consumo di alimenti di origine animale a prescindere da tutte le considerazioni di cui sopra, per una semplice ragione: non rientra fra i nostri diritti uccidere, e non vi rientrerebbe neppure se fosse necessario, poiché neppure in quel caso potremmo pensare che su alcun animale incomba il dovere di farsi mangiare da noi. O forse che alcun umano accetterebbe il proprio dovere di lasciarsi mangiare da una specie aliena o da altra specie animale terrestre? Potendo scegliere tra l’infliggere sofferenza e il non farlo siamo automaticamente in dovere di astenerci, mentre dovendo scegliere tra il causare un danno maggiore e uno minore siamo parimenti tenuti alla seconda opzione: ove il criterio di “giusto” non esista o non sia applicabile, si deve scegliere quello di “più giusto” o, se si preferisce, “meno sbagliato”. L’idea egoistica di uccidere o sfruttare il prossimo per il proprio tornaconto non è certo nuova nell’essere umano: da tempo immemore, infatti, (benchè non da sempre!) alcuni hanno deciso di sfruttare altri, cercando di legittimarsi sulla base di differenze vere o presunte. Non ci si può chiedere per quale motivo “non” dovremmo sfruttare gli animali, ma per quale motivo dovremmo (saremmo legittimati a) farlo: sulla base della nostra presunta superiorità biologica? Ma noi non siamo gli esseri più forti della Terra: questa presunta superiorità, dunque, verterebbe su una specifica prerogativa, cioè l’intelletto. Eppure su questa base un essere umano meno intelligente dovrebbe essere alla mercè di uno più intelligente, così come un essere umano con deficit mentali (congeniti o acquisiti): ma nessuna legislazione o norma morale umana afferma simili principi, per cui – ancora una volta – non c’è alcun motivo per legittimare lo sfruttamento degli animali non umani. Inoltre non c’è alcun paragone tra gli interessi in discorso: da un lato il mero appagamento sensoriale derivante dal consumo di cibi animali e, dall’altro, sofferenza, detenzione e morte. Anche in questo caso, non esiste alcuna legge in alcun paese che possa giustificare la privazione delle vita per la mera soddisfazione di effimeri piaceri. Poiché qualunque forma di alimentazione basata su prodotti animali (carne, pesce, latte, uova e derivati) presuppone l’inflizione di sofferenza, l’unico motivo per il quale ciascuno di noi può decidere di continuare a farne uso è, fuor d’ipocrisia, l’egoismo: la scelta consapevole e deliberata di anteporre un proprio vantaggio a quello di altre forme di vita e la volontà di non privarsi di alcun piacere o abitudine, in quanto a pagarne il prezzo sono altri. L’ipocrisia di questa scelta è ancor più evidente allorchè rabbrividiamo nel veder utilizzare come cibo cani o gatti, cui noi occidentali siamo abituati pensare come compagni di vita, riempiendoci a cuor leggero il piatto di bistecche. NOTE: (1) ftp://ftp.fao.org/docrep/fao/010/a0701e/a0701e00.pdf |